Ho iniziato a fare comunicazione in tenera età. Organizzai un memorabile show durante un matrimonio di parenti, con tanto di inviti, spettacolo e scenette di cabaret. Avevo 5 anni.
Ho studiato comunicazione, dopo un’ipotesi di carriera aeronautica naufragata in gran parte per la mia malattia alle orecchie. Ma un anno di Politecnico me lo sono anche concesso. Solo uno eh… Avrei dovuto continuare, boh, forse sì, forse no. Sliding doors.
All’università ho poi costruito il mio mondo, fatto di relazioni, amici, conoscenze. L’ho vissuta pur frequentando poco gli ultimi anni, perché concentrato sulla rivista universitaria che avevamo fondato, il Villaggio Globale con una redazione splendida, le mille liti, le grandi amicizie, i voli pindarici, le delusioni, ecc. ecc. Tutta roba bellissima, da scriverci un libro.
Il giornale lo impaginava Roberta Franco e osservandola ho imparato tantissimo. Forse lei non lo sa, forse non gliel’ho mai detto. Glielo dico ora.
In redazione abbiamo fatto i primi passi per il web, quando ancora nessun sapeva cosa fosse (era il 1994). E qui il merito va a Franco Carcillo, che già ne masticava e voleva a tutti i costi che facessimo il giornale su un floppy realizzato con l’ipertesto realizzato con Toolbook (si chiamava così?).
Alla fine realizzammo un sito vero e proprio e imparai l’HTML (era proprio il primo eh! Codice di base, base base…).
Avevo anche una casella di posta elettronica, forse una delle prime in assoluto: quelle con una sigla di 500 caratteri prima di @ e una password da scrivere su taccuino perché se no, col cazzo che me la sarei ricordata prima di iniziare la sessione di 30 min per usare il PC, all’ultimo piano di
Palazzo Nuovo. La casella era condivisa: scoprii dopo anni che veniva usata anche da altri studenti dopo di me e che Enrico Sola ne conosceva la password. Ma io non conoscevo ancora lui.
Al CISI di Unito imparai da un giovane informatico cosa voleva dire Internet, web, BBS, ecc. e anche se non ricordo più il suo nome, so che a quel ragazzo devo molto. Conoscenza che passa da umano a umano e pone le basi per qualcos’altro. Un qualcos’altro che prima o poi, come un mattoncino Lego, ti rimane addosso e ti costruisce, all’inizio con una forma casuale. O forse sempre, non solo all’inizio.
Ho scritto questo pippozzo perché ho la sensazione di aver vissuto mille vite e che in tutte queste sono stato co-protagonista (a volte casuale) di esperienze che mi hanno formato tantissimo.
Le persone che mi hanno circondato, che ho cercato, che ho incontrato, con cui mi sono scontrato o con cui ho fatto baldoria mi hanno formato e reso più completo. A volte qualche mattoncino è anche caduto, nonostante le mille resistenze per non consentire che alla fine si staccasse definitivamente.
Sono le persone che ci circondano, i compagni di viaggio che fanno la differenza. La metà è indefinita (almeno quando si è molto giovani) e il gusto del viaggio vince su tutto perché è con tutti quei mattoncini che raccogli sulla strada che puoi costruire il te stesso del futuro. Piano piano, ascoltando, strepitando, studiando, sbagliando, ridendo, piangendo.
Oggi, dopo molte lune il viaggio continua. Ho solo molta meno pazienza e quando vedo intorno a me egoisti e buffoni non ho nessun problema a cambiare direzione. Perché conosco la differenza tra chi mi ha dato tantissimo (e che spero di aver ricambiato) e chi vive la vita in modo egoistico, superficiale e approssimativo.
Buffoni a chili. Maestri pochi, ma molto, molto buoni.
Alla fine forse il segreto è tutto qui.
Nei mattoncini che hai raccolto, in quelli che hai scartato e nella forma che costruirai domani, diversa oggi, più bella e completa di ieri.