Ieri un amichetto di Lorenzo per la prima volta è venuto a cercarlo a casa.
Ha suonato al citofono.
Ho risposto io.
“Lorenzo c’é? Può scendere a giocare?”
Io ovviamente mi sono commosso subito. La cosa mi ha messo una tenerezza infinita.
Hanno 8 anni, sono amici da due anni, condividono gran parte della loro giornata a scuola.
Si cercano, sono complici, ridono, giocano, scherzano.
Si vede che c’è l’intesa dei veri amici. Poi sono l’opposto uno dell’altro. Uno fisico, robusto e irruente, l’altro timido magrolino e timoroso (indovinate chi?).
Torno indietro negli anni e mi ricordo di tanti amici con cui condividevo un calcio a un pallone in cortile, un giro dell’isolato in bici o una gara di biglie sull’asfalto rovente sotto casa.
Sono tanti amici che ormai vedo di rado (anche ritrovati su Facebook). Mi ricordo che la cosa più drammatica erano i saluti prima di partire per le vacanze.
C’era chi andava con i nonni tutta l’estate o c’erano quelli che partivano per il sud appena la FIAT, il 2 agosto, rigorosamente chiudeva per un lungo mese di pausa (in cui la città diventava un deserto inanimato).
Li salutavo triste, ci abbracciavamo come se non ci dovessimo vedere per mesi.
Il più delle volte la separazione durava tre settimane o poco più.
Il ritorno era spettacolare. Era tutto un suonare di citofono: “Andrea è tornato? Può scendere a giocare?”
Aspettavamo con ansia il ritorno di tutti e poi giù sotto al portone o in cortile a raccontarci l’estate.
C’eravamo solo noi con le nostre storie da raccontare, che ci riempivano le serate.
E poi, quando ormai ci eravamo detti tutto, via a giocare come se non ci fosse un domani.
E i compiti delle vacanze inquietanti aspettavano da qualche parte in qualche zaino, in qualche cassetto, fino a poche ore dall’inizio del nuovo anno scolastico.
1 commento
OK, ma poi il permesso per scendere l’hai concesso? 🙂