Due giorni

Due giorni per sapere se la squadra che amo da sempre rimarrà in “vita”.
E’ vero il calcio non è più quello di una volta.
Non è più l’epoca del Toro.
Ma è anche vero che senza Toro è come vivere senza un pezzo di cuore.
Suz dice che solo le cose che muoiono meritano di divenire a tutti gli effetti un mito, una leggenda.
Forse è vero. Ma io voglio il mio mito vivente… Il mito che mi portava da piccolo allo stadio.
Il mito che mi faceva piangere di gioia e di dolore.
I miei figli dovranno vedere il Toro giocare, non il Toro solo nelle foto d’epoca.
Ma noi possiamo fare poco. E forse il nostro Toro è già un ricordo.
I Granata vivono di ricordi e di miti e forse è per questo che quando tra due giorni ci diranno che non esiste più, saremo affranti, distrutti e sconsolati, ma preparati. Sappiamo che non può andare bene. Che siamo nati per stare sempre sul filo della gioia e del dolore. Questa è l’essenza del Granata doc. Quell’essenza difficile da capire che non ci abbandonerà mai. Anche dopo il 12 luglio.

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3 commenti

  1. “i granata vivono di ricordo e di miti” e forse è questo il problema. sarebbe sano guardare in faccia la realtà e non sognare e sperare a vuoto.

    cioé tifare certo -non se ne può fare a meno quando ci si innamora del toro – però questo toro è un torello, è una società penosa fatta da dirigenti quaquaraquà e da giocatori tanto volenterosi (e alcuni anche bravi) ma raramente dotati di vero talento.

    non c’è nulla di male a sognare il futuro, ma il problema è che il toro continua a sognare il passato e non guarda in faccia il presente.

    e forse, benché io non creda alla reincarnazione nè alla vita dopo la morte in generale, bisogna che questo toro agonizzante muoia e poi rinasca dalle sue ceneri per guardare avanti, senza rimanere intrappolato nel mito del passato. che è, appunto, passato.

  2. Beh, ma i miti assolutistici come il Toro (e un sacco di cose simili) si alimentano solo col pensiero rivolto al passato. Il fatto che ci sia un’epopea quasi eroica del “mito-Toro” legata ai suoi morti, la dice lunga sulla natura del nostro culto (culto in cui mi getto anima & cuore, ovviamente).

    Diciamolo: certa militanza granata è -come certa militanza a sinistra – felicemente necrofila. Ha il suo culto di eroi (morti), un passato mitico, un’attitudine “noi vs tutti” per di più suffragata dai fatti e in generale un senso di cupio dissolvi crepuscolarissimo, a tratti dannunziano.

    Per quello che non vedo malissimo l’idea di un Toro che scompare dalla faccia della terra. Per lo stesso motivo per cui Jim Morrison, Hendrix e Janis Joplin sono (a ragione) diventati dei miti per tutti.
    Se non fossero morti giovani, magari ora starebbero facendo un duetto con Laura Pausini a Pavarotti & Friends. E il mito crollerebbe.

    Poiché il Toro non mitico, cioè quello della realtà, dei Cimminelli, dei Romero, dei Goveani, dei tanti peracottari, non ha ancora scalfito la memoria del “mito”, forse non è così male sparire. Salviamo il mito. Tanto il calcio fa schifo. E il toro non sarà MAI nemmeno un millesmo di quello che fu allora il Grande Torino; non avrà mai più il valore storico, culturale e sociale di quella squadra della elite operaia comunista e antifascista torinese.

    Davvero, meglio diventare una “contrada morta” piuttosto che diventare servi del Moggi di turno. Tanto non sarebbe lo stesso Toro, non avrebbe più il primato morale che per anni abbiamo avuto rispetto al resto del calcio italiano e in particolare rispetto al polinomio mafia-doping-padroni-juve.